La festa di Sant’Antonio Abate a Rutigliano

Non so altrove, ma da noi il Carnevale cominciava a data fissa: il 17 Gennaio – Festa di Sant’Antonio Abate.
In questa ricorrenza, dopo lo sciamare lungo la strada per la vicina Rutigliano dei moltissimi Nojani di ogni ceto e d’ogni età e d’ambo i sessi, i quali solevano portarsi alla festicciola detta “di marange e di castagne du prevt”, tutt’intorno alla cappelluccia del santo dopo il ritorno non sempre a vuoto della devozione, almeno del “fischietto”, attaccato a speciali pupi di creta, in vendita sulle bancarelle dei figuli rutiglianesi (…)
.

 

Frugando tra i suoi ricordi giovanili circa gli usi e i costumi dei Noiani e dei Rutiglianesi, così scriveva in un suo libro del 1961 Sebastiano Tagarelli (1900-1983), personalità di elevato spessore culturale di Noicattaro ma particolarmente legato alla città di Rutigliano che servì per molti anni in qualità di Ufficiale sanitario prima e Direttore onorario della Biblioteca comunale poi. Tagarelli è stato il primo a “sdognare” i fischietti di Rutigliano: nessuno prima di lui aveva dato risalto a questa particolare produzione artigianale, strettamente connessa alla Festa di Sant’Antonio Abate.

Di lì a poco, anche La Gazzetta del Mezzogiorno, grazie alla dedizione del giornalista rutiglianese Antonio D’Alba, “(ri)scoprirà” questa antica tradizione rutiglianese, con due articoli, del 1964 e del 1966, apparsi nelle pagine culturali dell’edizione nazionale del quotidiano:

Per S. Antonio Abate si sono rinnovate secolari consuetudini
Si sono rinnovate in molti comuni della Puglia secolari consuetudini per la festività di S. Antonio Abate, particolarmente venerato nei centri agricoli come protettore degli animali.
Tra le più caratteristiche tradizioni, fino a qualche decennio, vi era la “battaglia delle arance” fra i cittadini di Rutigliano e quelli di Noicattaro, in provincia di Bari.
Il singolare scontro avveniva a mezza strada fra i due paesi, davanti ad una chiesa nella quale è custodita una sacra immagine di pregevole fattura. Il quadro venne trafugato circa tre secoli fa dai rutiglianesi ai noiani.
In quell’occasione, i cittadini di Noicattaro, non avendo a disposizione altre “armi”, lanciarono grosse arance raccolte dai ricchi agrumeti della campagna circostante l’abitato.
Tuttora vi è invece, tra i fidanzati di Rutigliano, la tradizione dello scambio dei “fischietti di S. Antonio”, curiosi strumenti fabbricati dagli artigiani locali. Con il sibilo acuto del fischietto, gli innamorati dovrebbero scambiarsi messaggi d’amore secondo un codice convenzionale.
Ma S. Antonio Abate, a Rutigliano, è venerato anche per un altro motivo: una leggenda locale narra di un uomo scampato miracolosamente alle fiamme per la sua devozione al santo. A ricordo del miracolo, in questa giornata le fornaci dei terracottai rimangono spente e non si accendono nemmeno le “fornarelle”, i focolari domestici. Per rispetto assoluto dell’usanza, i rutiglianesi non cucinano nemmeno e mangiano soltanto frutta secca, taralli all’olio e agrumi.

 

La Sagra dei Fischietti a Rutigliano
I rutiglianesi hanno rinnovato con particolare solennità la loro devozione a S. Antonio Abate, protettore degli animali e del fuoco.
Seguendo un’antichissima tradizione che si perde nel tempo, quest’oggi tutti i forni e le fornaci dei terracottai sono rimasti completamente spenti. In moltissime famiglie, inoltre, in segno di devozione al protettore del fuoco, le massaie non hanno cucinato: a tavola sono stati serviti soltanto frutta secca, agrumi, ceci cotti con polvere di tufo, lupini, taralli, finocchi, sedani, ed un buon bicchiere di vino locale.
Anche quest’anno si è svolta sulla strada provinciale per Noicattaro nei pressi della vetusta chiesetta, dove si venera il santo eremita, la sagra degli agrumi, della frutta secca e dei fischietti, artistiche statuine di creta con fischietto che i fidanzati usano donare alle loro ragazze.
La bella giornata ha favorito anche quest’anno l’invasione degli abitanti della vicina Noicattaro che a migliaia si sono riversati, come sempre, a Rutigliano per rendere omaggio al santo protettore degli animali e del fuoco.

 

Grazie a questi due articoli, i fischietti di Rutigliano iniziarono a farsi conoscere anche aldilà dei confini provinciali, fino ad incuriosire perfino la Rai: nell’edizione del Telegiornale del 18 Gennaio 1966 dell’allora canale unico televisivo, il Nazionale, andò in onda un servizio filmato che iniziava con «l’incontro tra gli abitanti di Rutigliano e Noicattaro in occasione della festa di sant’Antonio Abate in una chiesa a metà strada tra i due paesi per venerare un’effige del Santo da secoli oggetto di contesa; una tradizione impone in quei giorni festivi di spegnere tutti i fuochi, sia domestici che per lavoro; contestualmente si organizza la fiera dei fischietti: pupi di terracotta smaltati». Anche l’anno successivo la Rai tornò ad occuparsi dei fischietti di Rutigliano, con un «servizio di  Cronache Italiane del 18 Gennaio 1967 dedicato alle forme di devozione che celebrano nel sud Italia la ricorrenza di sant’Antonio Abate, dalla focara di Novoli alla sagra dei fischietti a Rutigliano: immagini di venditori, momenti della lavorazione dei pupi in terracotta smaltati, la banda per le strade del paese».

Così, dopo un lunghissimo periodo di oblio, dovuto alla loro natura considerata forse troppo “irriverente”, per i fischietti di Rutigliano stava per iniziare una nuova alba. Se n’è resa conto nel 1974 anche l’universitaria romana Paola Piangerelli, futura direttrice del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, che per la stesura della sua tesi di laurea focalizzata sulle ceramiche popolari a fiato, fece tappa a Rutigliano, raccogliendo diverse testimonianze, tra cui quella di un terracottaio di cui si riporta solo il nome, Lorenzo, e l’età 53 anni, che lavorava in una bottega «sita in un piccolo largo di via Mazzini, al piano terra di un vecchio edificio»:

Lorenzo lavora ancora la creta, fabbrica soprattutto pentole e altri utensili d’uso comune molto ben fatti. Conosce molto bene i fischietti, infatti egli afferma: “A Rutigliano fino a poco fa c’era una vecchia, la madre di un «guardio» che faceva fischietti: uccelli, papere, donne con l’ombrellino, uomini che fumano la pipa; ora è morta, a Rutigliano però si vendono ancora i fischietti il giorno della festa di S. Antonio Abate il 17 gennaio, in questo giorno tutti comprano i fischietti, soprattutto i fidanzati lo regalano alla fidanzata, il marito alla moglie come regalo di S. Antonio”.

I fischietti citati da Lorenzo erano quelli prodotti nelle botteghe di Rutigliano, utilizzando perlopiù forme e stampi in gesso preparati dagli artigiani Pasquale e Giuseppe Galeone (padre e figlio) di Capurso: fino a quell’epoca, infatti, i figuli di Rutigliano riservano alla realizzazione di fischietti solo ritagli di tempo, finalizzando il tutto alla vendita in esclusiva durante la tradizionale Festa di Sant’Antonio Abate, presi come erano a produrre in maniera intensiva vasi, tegole, suppellettili e stoviglie di uso domestico.

Negli anni ’70, invece, inizia la lenta “rivoluzione” che porterà gli artigiani della terracotta a dedicare sempre più tempo alla produzione dei fischietti. In quel decennio, oltre ai Lasorella, Samarelli e Lamparelli, già ricordati, si affacciano nuovi artigiani dell’argilla che si dedicheranno principalmente ai fischietti: l’artista-contadino naif Peppino Didonna, Vito Gara (è il “guardio” riferito da Lorenzo alla Piangerelli), Franco Valenzano, Pippo Catamo. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 si formò una leva di artisti della terracotta che daranno nuova linfa alla produzione dei fischietti: Filippo Lasorella (figlio di Vito), Tommaso Gara (figlio di Vito, poi seguito anche dal fratello minore Giambattista), Pippo Moresca, Dino Valentini, Patrizia Capasso e Gabriella Vacca, Vito Moccia, cui si affiancheranno successivamente, tra gli altri, Pietro Leone, Coop. Rudiae, Trifone Altieri, Pinuccio Altieri, Giovanni Didio, Giuseppe Dilorenzo, Paolo Didonna (nipote di Peppina), Francesco Laforgia.

I fischietti di terracotta hanno comunque da sempre fatto parte del bagaglio creativo dei figuli rutiglianesi: “giocattoli rompitimpani” (eredi dei “tintinnabula” di età romana) destinati soprattutto al diletto dei bambini. Questi manufatti erano caratterizzati inizialmente da raffigurazioni zoomorfe dalle simbologie di natura propiziatoria.

Tra le rappresentazioni più diffuse vi era il “gallo”: non è un caso che il fischietto più antico finora rinvenuto sia proprio un bel gallo di terracotta con tanto di zufolo, databile al XIV secolo, trovato durante uno scavo archeologico alla fine degli anni ’70 dello scorso secolo in una grotta di cala Scizzo a Torre a Mare (Bari), proveniente quasi certamente dalla vicina Rutigliano, come sostenuto già allora dagli archeologi e dagli storici. È da ricordare che un altro galletto di terracotta, cavalcato da Cupido di manifattura ancora più antica, IV secolo a. C., venne ritrovato nello stesso periodo nel territorio di Rutigliano, in contrada Castiello, dove sorgeva Azetium, nota città della Peucezia: pur mancante del fischietto (forse andato perduto), è considerato da molti studiosi il “prototipo” degli odierni “galli-fischietti”.

Il gallo costituisce il soggetto più largamente riprodotto, non solo a Rutigliano, ma anche in molti altri centri dove è radicata la produzione di ceramiche popolari a fiato,  in Italia e in Europa (Germania, Russia, Bulgaria, Portogallo). Nel Medioevo il gallo aveva vari significati simbolici, tra cui la “fecondità” e la “lussuria”: afferma dunque a giusta ragione Claudio Saporetti, già docente di Assiriologia all’Università di Pisa, direttore della rivista scientifica “Geo-Archeologia” e membro dei Consigli Direttivo e Scientifico della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, che «non è azzardato dunque pensare che la forma del gallo, che troviamo nelle ceramiche popolari a fiato, sia un simbolo fallico nel medesimo tempo apotropaico e propiziatorio».

Del resto, l’uso più diffuso e antico che si fa del fischietto a Rutigliano ha come attore principale proprio il gallo. Per radicata tradizione, il 17 Gennaio gli uomini di tutte le età di questa città donano alle proprie donne il “gallo-fischietto”, un dono nel nome di Sant’Antonio Abate che è protettore degli animali (che vengono benedetti in gran numero nel pomeriggio della festa) ma anche delle felici unioni d’amore: il fischietto posto alla base del gallo «tradisce dunque un significato di natura fallica, fischiarlo era una sorta di richiamo […]. La figura del gallo era poi la più indicata a rappresentare questo significato, perché questo animale è stato assunto a simbolo stesso della sessualità maschile».

Ma il 17 Gennaio segna anche l’inizio del Carnevale, ossia dell’unico periodo dell’anno deputato sin dal Medioevo alla sovversione dell’ordine stabilito e del rovesciamento dei ruoli: «il ricordo di antiche feste, in cui si usava concedere agli schiavi, semel in anno, di farla da padroni o addirittura peggio, sembra alla base di singolari raffigurazioni. Si tratta di vere e proprie caricature che vogliono mettere alla berlina il potere, qualunque forma ed aspetto assumesse. […] più calcata e pesante è invece la satira presente in tutta una serie di ceramiche a fiato principalmente create a Rutigliano (Bari), che raffigurano caricature, a volte anche volgari, di ecclesiastici, oppure di signorotti: i rappresentanti appunto del potere locale».

Capita così che un umile artigiano approfitti dell’atmosfera carnascialesca, senza il timore di essere perseguito, per schernire le personalità più in vista della città (e successivamente, per estensione, del panorama politico nazionale, dello sport, della televisione…), nell’illusione di sentirsi, per una volta, su un gradino più alto del “padrone”, del superiore o del rappresentante del potere: personaggi riprodotti in furbeschi ed ironici pupi di terracotta da fischiare.

La caratteristica Fiera dei Fischietti di terracotta, coincide come più volte ribadito, con l’altrettanto plurisecolare Festa di Sant’Antonio Abate, definita come abbiamo visto dal Tagarelli, festa “di marange e di castagn du prevt” (arance e castagne del prete) per via della tradizionale abbuffata di agrumi di stagione e castagne, tipica di questa giornata. Una festa assiduamente frequentata dai vicini Noiani che giungevano anche a piedi dal loro paese per onorare Sant’Antonio Abate, venerato in una cappella cinquecentesca edificata proprio sul ciglio della strada per Noicattaro. La tela di Sant’Antonio Abate che qui si conservava, trafugata nel 1993, è stata attribuita da Giovanni Boraccesi (restauratore di Beni culturali e storico di arte sacra) al pittore rutiglianese Silvio Molenis, attivo attorno al 1580-1597. Secondo una antica leggenda, il quadro del Santo sarebbe appartenuto in tempi lontani ai Noiani, i quali durante una grave carestia, lo avrebbero barattato per un cesto di fichi secchi. I Rutiglianesi ancora oggi utilizzano tale leggenda per schernire gli amati-odiati “cugini” noiani.

Per via di questa faccenda, sino agli anni ‘60 dello scorso secolo ogni 17 Gennaio vi era l’usanza di rinvangare il passato con una singolare battaglia tra opposte fazioni a colpi di arance. “A sera poi non si mancava di ritrovarsi insieme (rutiglianesi e noiani, nda) a gustare le tipiche brasciole di carne equina sorseggiando il buon primitivo “tust”.

Le brasciole, involtini di carne equina, possibilmente di asino, ripieni di spezie varie, un tempo venivano cotte il giorno prima e tenute al caldo in tegami di terracotta avvolti da spessi panni, perché a Rutigliano il 17 Gennaio si evitava di accendere il fuoco (e quindi cuocere), per rispetto di Sant’Antonio Abate che secondo una leggenda locale, avrebbe salvato la vita ad un uomo divorato dalle fiamme. L’asino utilizzato per le brasciole, un tempo era in realtà la “mula”, fedele e tenace compagna di lavoro del contadino, che quando era avanti con gli anni e le sue forze inesorabilmente si indebolivano, veniva sostituta da una “collega” più giovane, condotta a ricevere la benedizione da Sant’Antonio Abate il giorno della festa: ancora oggi si assiste, durante il seguitissimo rito della benedizione degli animali, nel pomeriggio del 17 Gennaio, alla “cavalcata dei cavalli e delle mule di Sant’Antonio Abate”; poiché un tempo, nella civiltà contadina, nulla veniva giudiziosamente sprecato, la mula vecchia, ormai prossima alla fine dei suoi giorni, veniva condotta al macello, per essere trasformata, appunto, in squisite “brasciole”, da consumare in onore di Sant’Antonio Abate. “Brasciole” che ancora oggi si è soliti consumare il 17 gennaio in gran quantità nelle case e nei ristoranti di Rutigliano, costituendo il piatto forte del tipico menù di questa festa, completato dal grano (in tempi recenti spesso sostituito dalle orecchiette o dai cavatelli) cotto nello stesso saporito sugo in cui vengono cucinate le brasciole, un delizioso intingolo di salsa di pomodoro verace arricchito da spezie e ortaggi locali; immancabili sulla tavola i marange, i castagn du prevt, i cic-r (ceci al tufo), i chiacoun (fichi secchi ripieni di mandorle), olive, taralli e i pirciedd (minuscole pastelle rigate fritte che ricordano nella forma vagamente i maialini, gli animali antonini per antonomasia), il tutto innaffiato dal robusto vino rosso locale (u’meir tust).

Quella di Sant’Antonio Abate, a Rutigliano, è dunque una festa popolare, poliedrica, dalle mille sfaccettature e da molteplici significati, le cui origini si perdono nel tempo.

Una festa la cui notorietà ha superato anche i confini nazionali, grazie ai mass media che hanno fatto conoscere ad un pubblico assai vasto tale singolare kermesse: a dare notorietà alla festa, determinante fu la popolare trasmissione televisiva di Rai Uno, “Uno Mattina” del 17 Gennaio 1989, con un lunga diretta (durò oltre tre ore) dal centro storico di Rutigliano.

Quello stesso anno venne istituito dall’Assessorato comunale alla Cultura e al Turismo il Concorso Nazionale del Fischietto in Terracotta “Città di Rutigliano”, la competizione artistica, prima nel suo genere in Italia, che annualmente vede protagonisti i più importanti artisti italiani della terracotta, le cui opere si possono oggi ammirare nel Museo Civico del Fischietto in Terracotta “Domenico Divella”, dal 2004 allestito al primo piano di Palazzo San Domenico.

Nel 2003, infine, i fischietti realizzati dagli artigiani di Rutigliano, hanno ottenuto il marchio di riconoscimento De.Co. (Denominazione Comunale di Origine) per la tutela e la valorizzazione di un’arte profondamente radicata nella storia di questa città.

Info e recapiti

Museo del Fischietto "Domenico Divella"
Via L. Tarantini, 28
70018 Rutigliano (Ba)
Tel e fax: 080/4767306
info@museodelfischietto.it

Scrivici!