La produzione figulina: origini e storia

L’arte figulina nel territorio di Rutigliano ha una storia che ha una origine molto lontana nel tempo: 70 milioni di anni fa. A quell’epoca così remota (periodo geologico indicato come Cretacico), mentre il nostro pianeta iniziava ad assumere il suo definitivo profilo geomorfologico, si formarono in quest’area pedemurgiana piccoli bacini silicoclastici (rocce sedimentarie), frutto dell’evoluzione neotettonica della piattaforma carbonatica pugliese: Argille di Rutigliano, è la denominazione con cui tali sedimenti sono noti in ambito scientifico.
Gli uomini del Neolitico che hanno abitato questo territorio hanno sapientemente tratto profitto dalla presenza copiosa di tali argille per farne contenitori per cibo e acqua, già dalla fine del VII millennio a.C., dando il via ad una produzione artigianale che caratterizzerà il tessuto sociale, culturale ed economico, e quindi la storia, delle comunità che si alterneranno nell’occupare la generosa terra di Rutigliano. Torre delle Monache e Madonna delle Grazie sono di certo gli insediamenti più rappresentativi del «fenomeno della neolitizzazione del sudest della Penisola», per qualità e quantità di reperti rinvenuti: ceramica impressa a crudo, ceramica decorata a fasce, protomi con raffigurazioni umane, ceramica depurata chiara dipinta a bande rosse, anse a nastro, protomi zoomorfe.
Una produzione figulina che in età classica e poi altomedievale assumerà i contorni di autentica arte vasaria, come attestato dai copiosi rinvenimenti delle necropoli delle contrade Bigetti e Castiello: centinaia di tombe incredibilmente ricche di pregiati corredi ceramici.
Gli abitanti della “nuova” città di Rutigliano, urbanisticamente sviluppatasi intorno all’anno Mille su un’altura (130 metri s.l.m.) a ridosso del possente maniero eretto nel periodo Normanno, proseguirono con notevole profitto l’attività figulina tanto da renderla assai fiorente e celebre. Non a caso, nel 1279, su disposizione dell’imperatore Federico II giunsero a Rutigliano alcuni mastri dalla Sicilia per cuocere nelle fornaci di questa città i mattoni maiolicati destinati alla cappella del castello di Bari; tre secoli più tardi, sempre nelle fornaci di Rutigliano furono realizzate, tra il 1535 e il 1546, sotto la guida esperta del maestro Luca Iudice, giunto appositamente da Napoli, le maioliche che rivestirono il pavimento della cripta della basilica di San Nicola in Bari, un colorato tappeto purtroppo andato perduto.
Doveva forse essere simile agli ammattonati maiolicati realizzati tra il ‘600 e il ‘700, che fortunatamente si possono ancora oggi ammirare in due importanti edifici ecclesiastici di Rutigliano: nell’area presbiterale della collegiata di Santa Maria della Colonna e San Nicola e nella cappella della Madonna del Rosario della chiesa di San Domenico. La città conserva anche un’altra preziosa testimonianza dell’arte ceramica di quel periodo: il quadrante in maiolica della Torre dell’Orologio (ricostruita negli anni ’60 dello scorso secolo in sostituzione dell’originaria del ‘700, volutamente e incredibilmente demolita perché “vetusta”…) di piazza Colamussi, nel cuore del borgo antico.
I ritrovamenti casuali di diversi frammenti maiolicati avvenuti nell’ultimo decennio dello scorso secolo tra il materiale di risulta durante lavori di ripavimentazione in alcune case del centro storico, dimostrano che la produzione di maiolica era una attività particolarmente importante nelle fornaci della città già nel ‘300, attività influenzata, con tutta probabilità, a seguito della venuta in Rutigliano, come detto in precedenza, delle maestranze specializzate in maiolica, inviate da Federico II nel 1279.
Un’altra produzione, al pari della maiolica, oggi scomparsa è quella delle pipe in terracotta, di cui si ha notizia grazie a un gruppo di esemplari rinvenuti negli anni ’90 del secolo passato dallo studioso Giuseppe Lasorella e analizzati dalla restauratrice Maria Antonietta Catamo. Le pipe, trovate in contrada Caggiano in un terreno dove in passato veniva scaricato materiale di scarto delle fornaci rutiglianesi, sono tutte antropomorfe e raffigurano volti sia maschili che femminili.
Aldilà di queste creazioni, che con una definizione moderna potremmo definire di “nicchia”, il grosso del lavoro degli argillieri di Rutigliano, era riservato alla produzione di stoviglie domestiche e tegole. Una attività che soprattutto nel corso dell’Ottocento impegnerà una forza lavoro assai notevole: nei primi anni del XIX secolo, su circa 5000 abitanti ben 200 erano le donne e gli uomini occupati nella produzione terracottaia; nel 1836 risultano operanti a Rutigliano addirittura 30 botteghe di argilla.
Una presenza così cospicua di botteghe all’interno delle mura cittadine comportava non pochi problemi di natura igienico-sanitaria e per il decoro urbano; questioni che non lasciavano del tutto indifferenti le autorità civili del tempo: l’articolo 27 dello Statuto Patrio del Comune di Rutigliano del 1819 approvato dalla Intendenza di Terra di Bari (organo decentrato del Regno di Napoli per il controllo amministrativo del territorio) ammoniva: «I lavoratori di creta non potranno tenere la creta sparsa sulle strade de’ borghi, acciò non si rendano impraticabili in tempo di pioggia: in controvenzione saranno puniti con una multa di carlini venti; ed in recidiva con quella del doppio». Ancora più dura sarà la prescrizione del nuovo Statuto, redatto dieci anni più tardi: «È vietato a tutti gli argillieri, ossia cretaioli, di riporre creta, travagliarla, e cuocerla nel giro di borgo, affinché le strade non si rendano impraticabili per gli uomini, e pericolose per gli animali. I contravventori saran puniti colla multa di ducati 1,40, e del doppio in caso di recidiva.».
Una attività, quella dei terracottai, che di certo costituiva rilevante linfa per l’economia cittadina, ma che avrebbe potuto essere ancora più redditizia se il settore fosse stato più pronto a confrontarsi con gli altri centri di produzione ceramica, come rilevò nel 1877 il canonico Lorenzo Cardassi: «Questa industria sarebbe una sorgente di lucro non mediocre se i nostri Stovigliai e Vasai nei grandi opifici di Faenza o di Bologna, dove fu trovata buona la nostra creta, andassero ad apprendere l’arte di saperla rendere adatta a’ lavori di migliore perfezione e specie.».
Agli inizi del ‘900 risultano attive ancora 24 botteghe, con 103 unità lavorative, dislocate nei rioni Belvedere, Case Nuove, San Vito Vecchio, Sant’Antonio, Cavallotti, Sotto il Salice e Stazzoni. Nel 1901 si costituì anche una «Società di Mutua Assistenza per gli esercenti Figuli di Rutigliano», con lo scopo di «assicurare e tutelare gli interessi della classe, promuovere il miglioramento morale e materiale della loro condizione. Soccorersi coi mezzi che dispone l’associazione e di promuovere provvedimenti Amministrativi e giudiziari di assistenza e di tutela dei Soci». Sino agli anni ’80 operava inoltre un Sindacato dei Terracottai, con sede in via Zaccaria, nel centro storico.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale risultano attive ancora 20 botteghe, che poco a poco si ridurranno a sole tre officine: quelle di Vito Rocco Lamparelli, Vito Lasorella e Angelo Samarelli, operanti fino agli anni Novanta.
Attualmente è aperta una sola bottega con fornace: quella di Tonino Samarelli (figlio di Angelo) che continua la storica lavorazione al tornio per la produzione di tegami e pignate.
In controtendenza, dagli anni ’70 ad oggi si registra invece l’apertura di nuove botteghe d’arte in cui la fanno da padroni i fischietti di terracotta, fino ad allora considerati prodotti marginali e poco remunerativi.
Info e recapiti
Museo del Fischietto "Domenico Divella"
Via L. Tarantini, 28
70018 Rutigliano (Ba)
Tel e fax: 080/4767306
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